Leggendo l’articolo “Una brutta idea quel patto generazionale” del Direttore della Comunicazione Pininfarina – Lorenza Pininfarina – su Repubblica di ieri

da sottoscrittore del patto mi viene da dire che:

Il “patto generazionale” fa storcere il naso a molti, non ultimi a tanti di quei “giovani” che si promette di promuovere. Una contraddizione? No, se mai una conferma. La necessità di mettere nero su bianco un impegno come questo, non fa che confermare l’anomalia del sistema di poteri italiano. Stravolgere un sistema di valori ormai radicato, una serie di prassi consolidate, non è facile. Il patto generazionale sancisce un problema, lo riconosce e lo illustra, prima ancora di tentare una soluzione. A firmare il patto sono infatti i 40enni di oggi che promettono di lasciare redini e cavalli quando di anni ne avranno sessanta.
Lodevole, ma a cosa serve? Innanzitutto a riconoscere un problema. La classe dirigente si rinnova con eccessiva lentezza e tende a radicarsi e a riprodursi uguale e se stessa, ma con assetti diversi (stessi nomi su poltrone e poltroncine diverse). E poi a tentare una soluzione col pragmatismo all’italiana: imponiamoci una scadenza, una dead line, perché sappiamo che solo cosi terremo fede agli impegni: con gli ultimatum, al limite autoimposti.
È una chiave di lettura che hai i suoi pregi ed i suoi difetti. Fra i difetti di un simile modo di fare c’è il rischio di massificare. L’età anagrafica non dovrebbe essere necessariamente dirimente. Si obietterà infatti che deve essere la meritocrazia a segnare il tempo dei rinnovi generazionali. Niente di più auspicabile.
Ma il “potere del merito” cosi come ogni altro potere veramente democratico ha bisogno di un humus fertile per crescere e radicarsi. In Italia questo humus è una strisciolina cosi sottile da impedire anche alla radice più robusta e forte di allignare. Il campo della meritocrazia è infestato dalle erbacce del clientelismo, del partitismo, del nepotismo. Soffocato da afidi e rampicanti che portano il nome di “somma di cariche”, “compatibilità”, “conflitto d’interessi nullo”.
Il recente regolamento della Consob che sancisce uno stop al collezionismo di cariche, riconosce un problema e ne propone una soluzione. Forse era necessaria un’iniziativa regolamentare di un organo di vigilanza per accorgersi che fare l’amministratore o il sindaco di più enti, fondazioni, patti di sindacato anche in contrapposizione e conflitto fra loro, era indice di un ethos amministrativo quanto meno “discutibile”? Certamente no. Eppure è stato necessario arrivare a formulare un regolamento per arginare certi comportamenti. Alcuni fenomeni non si producono spontaneamente.
Per questo è necessario riconoscere che il problema non è firmare o no un patto con le generazioni future, semmai che tale patto si sia reso necessario. E i sessantenni validi saranno allora tutti condannati ad una precoce rottamazione? Un dubbio come questo non dovrebbe nemmeno sfiorare chi – con un pizzico di cinismo – sa che fra le virtù(?) italiane non si annovera l’onestà spinta fino all’autolesionismo. Preparare il futuro è l’imperativo morale dei prossimi anni. Anche a costo di sembrare eccessivamente severi con noi stessi.

Enzo Lavolta

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